Il primo pensiero di chi ha visto il gioco soltanto dai trailer senza provarlo con mano è stato proprio questo: Breath of the Wild con delle isole nel cielo. Non vi mentirò, anche io sono caduto in inganno prima di giocare TOTK.
E questo è anche comprensibile, dal momento che il mercato videoludico vede ormai uno stile standardizzato per la produzione di sequel da vendere, oltre che agli appassionati del brand, anche al grande pubblico: meccaniche riconoscibili, se non identiche, per far ritrovare all’utente la sua comfort zone; grafica e mappa completamente rinnovate, così che il gioco appaia incredibilmente fresh e innovativo, pur non cambiando spesso davvero nulla se non qualche elemento di non troppa rilevanza. Quasi come se i seguiti diventassero dei DLC venduti a prezzo pieno che introducono soltanto una nuova quest, lasciando il resto inalterato.
Ed ecco che The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom agli occhi meno attenti è praticamente lo stesso gioco ma con qualche isoletta volante e dei buchi nel terreno non poi così centrali nell’avventura, dato che gran parte dell’esplorazione si svolge proprio tra le vaste pianure e gli aspri monti di Hyrule che abbiamo già amato nel precedente capitolo. Anche la grafica non si discosta di troppo.
Cosa cambia dunque?
Sembrerà banale a dirsi, ma sono proprio Ultramano, Compositor, Ascensus e Reverto (i nuovi poteri introdotti dal gioco) a cambiare le carte in tavola.
Compositor ci permette di fondere armi tra loro o con i materiali ottenuti durante l’esplorazione; forse quello che mi affascina di meno del quartetto in quanto, nonostante si possano sperimentare diverse combinazioni, la durabilità dell’arma non cambierà più di tanto e finirà comunque per rompersi.
Ultramano ci consente di spostare quasi ogni oggetto del mondo di gioco, ruotarlo su due assi (X e Y) ed unirlo in qualsiasi posizione si voglia ad altri oggetti.
Reverto permette di prendere determinati oggetti (anche quelli uniti grazie all’Ultramano) e invertire il loro flusso temporale.
Ascensus invece, se c’è un soffitto piatto abbastanza vicino alla tua testa, spara Link verso l’alto permettendoti di trapassarlo e sbucare al di sopra.
Ma qual è il punto? Perché queste quattro meccaniche sarebbero la svolta? Questi non sono attacchi diretti al nemico o comode e pronte interazioni con elementi di gioco. Non sono le bombe di BOTW, ad esempio, che lanciavi addosso al nemico e avevi fatto.
Questi poteri sono regole del gioco. Sono dei controlli, come quelli di movimento, forniti al giocatore per lasciarglieli usare come preferisce e allo sviluppatore stesso per spezzare quasi ogni limite nella costruzione di un level design creativo e ricco di enigmi.
Sono degli strumenti in un mondo che risponde con logica alle leggi della fisica, dove se una cosa funziona nella tua testa, nella quasi totalità dei casi funzionerà anche nel gioco.
Tutto questo ovviamente non si limita ai poteri. Hyrule è tanto simile quanto diversa, ed in questo senso appare quasi come una bugia quell’affermazione di Aonuma secondo il quale questo capitolo sarebbe fruibile anche da chi non ha mai toccato il precedente.
Potresti certamente, ma una delle cose più belle dell’esplorazione è proprio scoprire come ogni singolo luogo sia stato rimodellato, come i centri abitati siano cambiati, quante e quali conseguenze abbiano comportato la precedente sconfitta del male e la sua nuova minaccia.
Più personaggi in giro, più quest, più sottotrame in una Hyrule mai così viva, dove ogni cosa che veniva data per scontata in Breath of the Wild (stallaggi, fate radiose, etc…) qua è ricontestualizzata e approfondita da storyline dedicate.
E non ho ancora detto nulla del sottosuolo! Potrei spendere righe su righe nel parlare di come sia un totale specchio di Hyrule, non solo in ciò che è evidente (conformazione “a guanto rovesciato” dove alte montagne diventano infiniti abissi), ma soprattutto nel concetto che vuole trasmettere: opprimente, buio, ostico da esplorare e navigare; l’esatto opposto del fervido mondo della luce che troviamo al di sopra.
È tutto oro quel che luccica?
Ovviamente no. Se vogliamo trovare alcuni piccoli difetti (si fa per dire) ci sarebbero la struttura della trama principale (fin dove sono arrivato) fin troppo simile a quella di BOTW, ed i problemi di frame-rate, oltre che della risoluzione dinamica al ribasso.
Ma lì è colpa di Switch, una console che davvero non ce la fa più e davanti la quale bisognerebbe in realtà fare un lungo e sentito applauso a Nintendo EPD: il gioco offre una delle migliori grafiche visibili sulla console, un Open World enorme in orizzontale e verticale sorretto da un motore fisico incredibilmente complesso, più del precedente. E il tutto non si rompe mai. Un miracolo.
Questa non vuole essere una recensione (non ne sono capace) ma una riflessione su come spesso bisognerebbe approfondire i videogiochi rivolta a chi, spesso, non ha la possibilità o semplicemente voglia di accettare che il proprio parere potrebbe essere parziale e mancante di informazioni importanti.
Concludo questo flusso di coscienza con l’invito rivolto a coloro che criticano il gioco senza averlo prima provato: giocatelo, spendete il dovuto tempo ad analizzarlo, a divertirvi o ad incazzarvici sopra perché non gira a 120 fps, ma giocatelo. Solo in quel caso potrai dare un’opinione rispettabile.
Ringrazio Subsonic-Mistake per avermi dato una mano nel rendere in forma corretta i miei fiumi di pensieri e parole sconnesse.
Gran bell’articolo gGiova! Mi ha affascinato la tua visione in merito a questo TotK