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INTERVISTA A MATTEO BASSINI: DAL GIAPPONE ALL’ITALIA DISEGNADO CARTE MAGIC E LAVORANDO PER MOON STUDIOS

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Come sapete Mercoledì 10 Maggio è stata una giornata per noi magica. Abbiamo avuto l’occasione ed il privilegio di intervistare Matteo Bassini in una G-NIGHT che difficilmente dimenticheremo e che presto sarà online sul nostro canale Youtube.
Per l’occasione abbiamo voluto scolpire su questo articolo la sua intervista che è stata molto stimolante, non soltanto perché ci ha raccontato il suo percorso di vita e lavorativo, ma anche perché ha saputo condire questo viaggio con aneddoti e consigli importantissimi per chiunque ama l’arte e voglia fare della propria passione il proprio lavoro.
Quello che riportiamo è solo un estratto dell’intervista che è stata molto più corposa e ha approfondito ogni singolo argomento.

Le origini e il primo approccio con il disegno.

Quando hai capito che il disegno sarebbe stato parte della tua vita?
Matteo: Ho sempre disegnato, non c’è un momento preciso in cui ho capito che fosse quella la mia vocazione, ma ricordo che quando ero piccino, ho iniziato a passare le giornate a ricopiare il fumetto di Topolino.
Da li mi si è aperto il magico mondo dell’animazione giapponese, anche se questo allaccio, ai tempi, non era così immediato come è adesso che abbiamo internet.
Agli inizi volevo lavorare nel mondo della fumettistica, ma arrivi ad un momento della tua vita dove devi fare una selezione delle cose per le quali sei portato, se vuoi lavorare in quel campo.
Quello che mi riusciva meglio e quello che ho deciso di portare avanti si basava sul colore e iniziai a fare il colorista. Entrare in quel mondo professionale mi ha messo in contatto con diverse conoscenze che mi hanno permesso di prendere la strada che desideravo.


Il Giappone, tra sogno e disillusione.

Ci racconti della tua esperienza lavorativa in Giappone? È veramente come ce lo immaginiamo?
Matteo: Ho lavorato per 3 anni in Giappone. Rimango fortemente legato a quell’esperienza, è un bellissimo posto per viaggiare da turista e, ancora oggi, ci tornerei se avessi la possibilità.
Ho passato il primo anno e mezzo come folgorato da un colpo di fulmine, che me lo faceva vedere come un posto meraviglioso, poi è subentrata la routine quotidiana e lavorativa, iniziando a decodificare il vero e proprio stile di vita giapponese nei panni di uno “straniero”. Puoi cercare di integrarti quanto vuoi in Giappone: puoi conoscere gente ed anche farti delle amicizie, ma ti rimarrà sempre un’etichetta. I giapponesi sono delle persone aperte formalmente, ma dentro di loro sono chiusi con chi viene da fuori, anche se non lo sanno.

Quanto è diverso lavorare in Giappone rispetto a qualunque altra parte del mondo?
Matteo: Nell’ambito dello sviluppo di videogiochi la cosa che mi ha dato più fastidio è stata un’arretratezza tecnica rispetto al resto del mondo. Le aziende giapponesi utilizzano molto gli engine proprietari, nella programmazione dei videogiochi, e questo crea un dislivello con il resto del mondo, che ormai è tarato su altro.
Infatti, per questo motivo, quando entri in uno studio è per starci per sempre ed, eventualmente, scalare le posizioni per anzianità lavorativa. Devo dire, una visione anacronistica, visto che il mondo lavorativo oggi è sinonimo di mobilità. Avere mobilità e cambiare azienda vorrebbe dire reimparare un diverso engine proprietario ogni qual volta si cambia azienda.

Inoltre, mi duole dire che la qualità media dei videogiochi, a livello tecnico, è molto bassa. Il Giappone vive di videogiochi, ma vivono dello specchietto di quello che sono stati. Nel concreto, anche se sono nati lì i video game, non c’è tutta questa cultura. L’Occidente dà più senso artistico nel videogioco, come mezzo di espressione di un’arte. I giapponesi lo vedono come un intrattenimento, un mezzo per passare il proprio tempo, quando sono in metro o aspettano alla fermata.

Ovviamente, la mia esperienza personale non è soltanto critica, ho amato quel periodo ed è stato formante e unico, che consiglio, a chiunque abbia la possibilità, di fare.


La collaborazione con Magic: The Gathering.

Adesso parliamo di Magic, dei tuoi inizi, come ti hanno contattato?
Matteo: Sincero? Tutto è iniziato per puro caso. Mi hanno contattato al fine di verificare la veridicità delle mie capacità, e ho iniziato a fare illustrazione per le carte. Mi scrisse uno dei principali Art director di Wizard: Tom Jenkot, per l’espansione di Zendikar, facendomi bypassare tutta una serie di step intermedi, che sono necessari e doverosi per diventare un illustratore di carte Magic.

Quante carte hai realizzato per Magic?
Matteo: Al momento sono state rilasciate 6 carte, però in totale ho realizzato 20 carte, che ancora non sono uscite.

Che tipologie di carte disegni?
Matteo: Cerco di stare molto lontano dai character e la maggior parte delle carte che disegno sono Terre.

Quando Magic ti commissiona una carta sono stringenti con le richieste oppure ti concedono una certa libertà artistica nella realizzazione?
Matteo: Diciamo che Magic fissa dei paletti che sono inamovibili e che devo inserire nell’illustrazione. Ad esempio, quando ho realizzato il Ruin Crab, hanno descritto sia l’azione sia i particolari che devono essere presenti nella scena. Solitamente mi viene fornito un setting ed una bibbia tecnica con dei riferimenti su determinati pattern da realizzare, ma nello stile e nell’interpretazione dei personaggi e degli ambienti, sono abbastanza libero di esprimermi.
È ovvio che nel corso della realizzazione della carta siamo seguiti ed abbiamo delle scadenze: 20 giorni per consegnare il primo sketch e poi altri 20 giorni per la consegna del definitivo, colorato.

Sotto il profilo retributivo, gli sforzi degli artisti sono ben pagati da Magic?
Matteo: Magic paga bene le sue carte, anche se essendo Wizard potrebbe pagarle di più… Ma quello che soddisfa l’artista non è soltanto la retribuzione in sé, ma la gestione totale della sua carta. Cosa voglio dire? Con la tua carta, se riporti il logo Wizard, puoi fare quasi tutto: sostanzialmente posso lucrare con la mia opera intellettuale creata per loro. Rivendendo gli artist’s proof o gli sketch della creazione della carta.


IA e arte, un fenomeno che non dobbiamo ignorare.

Temi la tecnologia delle intelligenze artificiali nel tuo lavoro?
Matteo: Questa è una domanda gigantesca, ma quello che posso dire è che: esistono e quindi di questo dobbiamo averne consapevolezza.
Anche se la loro presenza mi mette un po’ di tristezza.
Sono anche entrate nel mio campo lavorativo. Ad esempio, in Wizard (che non usa IA, tengo a precisare) nella bibbia tecnica che invia agli artisti come spunto per farti vedere delle ambientazioni particolari, la metà delle reference sono fatte con Midjourney.
Attualmente, la presenza delle IA sul campo artistico, non mi tocca, ma se dovessi mettermi nei panni di qualcuno, all’inizio della carriera, avrei una paura tremenda e rivedrei, in modo drastico, l’approccio al mio lavoro. Sono sicuro che l’artista nel mio mondo lavorativo non morirà, ma credo che, se prima uno studio aveva bisogno di dieci artisti, adesso ne hanno bisogno solo di tre.

Può essere arte un qualcosa creata con IA?
Matteo: NO.


Moon Studios e la realizzazione di Ori and the Will of the Wisps.

Come sei arrivato a lavorare per Moon Studios? Raccontaci il tuo percorso.
Matteo: La mia esperienza con questo studio inizia dalla frustrazione che si era generata in Giappone e nel mio ritorno in Italia. Arrivato in terra natia fui contattato da Counterplay Games, che voleva creare un gioco AAA per console e pc. Ci lavorai per due anni, per poi rivelarsi essere quella “tamarrata atomica” di Godfall. Godfall, come idea era un gioco figo, il problema è stato che ha cambiato veste almeno 7 volte.
In quel periodo, forse un santo ha sentito che volevo cambiare aria, un giorno mi è arrivata una mail del Lead Artist di Moon Studios, che mi chiese se volessi fare un test con loro. Io odio i test e sono andato in iperventilazione.
Contemporaneamente in quel periodo avevo il mio lavoro con Couterplay Games, il test per Moon Studios e una bimba di due mesi… è stato magico.
Ma fortunatamente mi hanno preso. Sono entrato in Moon Studios quando avevano appena finito la pre-production del kit di tutti gli asset di gioco, un po’ riciclandoli dal primo Ori, anche se Ori and the Will of the Wisps è completamente innovativo tecnicamente.
Dopo una settimana che ero entrato a Moon Studios, sono stato contattato da Riot per collaborare nella creazione di Valorant, che purtroppo dovetti rifiutare.
Moon Studios, fa ridere dirlo, ma non ha uno studio, tutti i collaboratori lavorano in remoto.

Inizialmente entrai come Level Artist per la realizzazione di un nuovo gioco, una volta raggiunta la Green Light però abbiamo messo in pausa il progetto e tutto lo studio ha concentrato le sue forze nella realizzazione di Ori and the Will of the Wisps per circa nove mesi di crunch.
In quel periodo di tempo abbiamo lavorato tutti i giorni, senza un orario lavorativo ben definito e mi ricordo che mezzo studio ha rischiato il divorzio.
Nella realizzazione di Ori and the Will of the Wisps io ho fatto la Level art e Set Dress, una parte di texture, una piccolissima produzione di asset e mi sono concentrato sulle Interazioni. Ho realizzato le interazioni di Ori nel mondo di gioco.

Ci sono mai stai problemi all’interno dello studio?
Matteo: Lavorare in uno studio come Moon non è facile. All’interno dello studio, che è fatto di esseri umani, si iniziano a interlacciare rapporti sociali. Le persone si conoscono e creano della amicizie. Noi abbiamo delle chat dove non si parla necessariamente solo di lavoro, al loro interno si ride e si scherza. Una cosa è scherzare quando il tuo interlocutore è un tuo amico che conosci, un’altra è dietro lo schermo.
C’è stato un grosso caso, montato mediaticamente, dove sono stati diffusi degli screeshot di parti di chat private, completamente decontestualizzate. È stata una sorta di vendetta da parte di due ex membri del team, che sono andati via, in un periodo molto stressante per lo studio che a fronte di due rinvii del gioco dovette premere sull’acceleratore.


Siamo tutti degli impostori.

Soffri un po’ la sindrome dell’impostore nel tuo lavoro?
Matteo: Per intenderci, quando sono entrato a Moon, la maggior parte degli artisti al suo interno li seguivo da tanti anni prima. Nello studio in cui lavoro, mi sono sempre messo in discussione, sentito un po’ inadeguato e non allo stesso livello rispetto agli altri. Anche se, alla fine, lavoro da anni a Moon e ne ho vista passare di gente che è andata via.
Anche la mia carriera è stata atipica, sono stato chiamato più volte dalle aziende, e questo fattore l’ho sempre visto come una botta di fortuna.

Una delle domande che più mi faccio nella mia testa riguarda la collaborazione con Wizard, che ha il bacino di utenza degli artisti del mondo e mi chiedo sempre come mai tra tutti gli artisti bravissimi che ci sono nella Terra, io abbia già realizzato venti carte di Magic.

All’inizio questa domanda era un nodo nella mia testa, ma ad essere sinceri dopo un po’ inizio a fregarmene.

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